Allora, allora…avete ragione: questo
caffè che accompagna il primo episodio della nostra storia-in-progress si è
fatto attendere un po’ troppo, e di questo invoco perdono a tutti voi lettori:
purtroppo la scrivente ha una vita incasinata (per le vite altrui, nda) quindi
non si è accostata al foglio e alla penna virtuali per quasi due settimane.
Bando alle ciance: ricordo a tutti che questo è il primo episodio di una storia
che scriveremo insieme. Alla fine di questo primo frammento, infatti, trovate
due frasi in corsivo: si tratta di due possibili conclusioni. Nei commenti,
indicate quello che preferite, da oggi e per sette giorni: quello che riceverà
più gradimenti sarà il prescelto, e da lì ripartirò per scrivere la
continuazione. Per il regolamento di questo gioco, rinvio al post precedente: http://ghisola.blogspot.it/2013/03/racconti-da-caffe-episodio-pilota.html.
Buon divertimento!
Il vento soffiava
discreto ma inclemente fra le rovine della città a sollevare nugoli di quella
polvere antica che era assisa in letargo a coprire macerie testimoni di una
vita passata. Maurizio si arrotolò una sigaretta poggiando la schiena al marmo
gelido di ciò che rimaneva di una colonna che forse, per secoli, era stata
sfiorata in modo timido, perentorio, o appena accennato, da fedeli intimoriti,
austeri o annoiati all’interno di una chiesa maestosa ormai distrutta in mille
pezzi. Forse, per secoli, la navata silenziosa di quella chiesa si era riempita
della luce rossastra dell’alba filtrata dai vetri di un rosone dipinto da mani
sapienti d’artigiano, che dall’alto aveva osservato generazioni di praticanti
avvicendarsi sul pavimento lustro fino a quando, dopo aver resistito al vento,
alle piogge, ai terremoti, era stato vinto dalla stessa forza di chi l’aveva
creato: l’uomo.
E allora quel semplice vetro
lavorato a divenire un’opera d’arte, era tornato ad essere soltanto vetro,
frantumato in mille pezzi anonimi. Maurizio tenne la sigaretta in bilico fra le
labbra e la accese. Mantenendosi in equilibrio sulle macerie che formavano la
collinetta su cui si trovava, guardò di sfuggita il cielo sopra la sua testa.
Il sole ormai era nascosto al di là dell’orizzonte e diffondeva una luce
pallida a sfumare l’azzurro del cielo in un lilla che in poco tempo sarebbe
diventato sempre più scuro, fino a incupirsi in un blu messaggero di notte.
Anche oggi, non è un cielo limpido.
Non è piovuto, non ha minacciato temporali, non si è nemmeno annuvolato, ma il
cielo non è stato limpido, non lo è neanche adesso c’è questa maledetta patina
opaca fra me e il cielo non lo ricordo quasi più quand’è stata l’ultima volta
che ho visto un cielo terso. Cinque, forse sei anni, forse era un giorno di
Natale, forse ero nella casa in campagna dei nonni ma chissà. Forse no.
Maurizio scosse il capo ed espirò il
fumo in delle nuvolette che gli volarono davanti agli occhi, poi inspirò dalla
sigaretta, assaporando il sapore amaro del tabacco che gli graffiò la gola e
calmò il senso d’inquietudine che quel cielo basso, grigiastro, premendogli
sulla testa, gli trasmetteva. Abbassò lo sguardo.
La Città, nata quasi vent’anni
prima, ai tempi del Fatto, cominciava ad accendersi di luci che, nella vallata
artificiale creata dall’esplosione, erano testimoni di quelle vite che si erano
coagulate lì, come sangue rappreso delle ferite del Fatto che, in meno di
trenta secondi, aveva spazzato via centinaia di città. Anche lì, come nel resto
del mondo, le anime umane sopravvissute si erano riunite a mettere su una
città.
In attesa di essere spazzate via di
nuovo da un’altra decisione, da un’altra svolta, da altri eventi perché
accadrà, accadrà prima o poi, presto o tardi chi lo può sapere, lo vedremo o
meno non cambia granchè, ma succederà. Io lo so come lo sanno tutti loro. Ma
non possiamo vivere aspettando quel giorno. Proprio no.
Un rumore di pietre smosse e cocci
calpestati gli giunse alle orecchie. Istintivamente, fece correre la mano
all’immobilizzatore laser che aveva in tasca e spiò davanti a se, fra le
rovine; una risata allegra risuonò nell’aria e giocò col vento per qualche
secondo; Maurizio la riconobbe e lasciò andare l’immobilizzatore con una
smorfia scocciata, gettando lontano da sé il mozzicone che gli era rimasto fra
le dita.
-
Ciao, Cristian! – squillò una voce familiare. Maurizio
rabbrividì, nauseato, e stese il braccio in direzione del corpo piccolo e ben proporzionato
che gli andava incontro in un unico movimento sinuoso. Attirò a sé Delia con
una decisione un po’ brusca, se la modellò addosso in un abbraccio artificiale
e in un bacio forzato cui fece seguire il miglior sorriso che riuscì a
sfoderare. I suoi occhi azzurri e allungati nella forma innaturale tipica di
una gatta lo squadrarono perplessi, mentre una vaga consapevolezza li
attraversava, e poi si schiusero in una smorfia di provocante contentezza.
Hai capito, vero? Hai capito che c’è
qualcosa che non va, non sono mai stato un grande attore.
-
Cristian, ti presento la mia amica Atena, -
annunciò lei, scostandosi un poco di lato per lasciar intravedere la figuretta
alta, stretta in una giacca a vento che cadeva a coprirle i fianchi, le mani
nelle tasche e un foulard rosso legato al collo che giocava con il vento. I
suoi lunghi capelli neri erano legati in una coda alta e morbida sul capo e
mandavano bagliori azzurrognoli alla luce timida del sole di quel pallido
tramonto della nuova Era. Maurizio le vide un sorriso appena accennato e
scettico sul volto dai tratti spigolosi e allo stesso tempo eleganti; si limitò
a sollevare appena il mento in un saluto muto.
Diffidente, attenta, osservatrice,
spaventata non potevo aspettarmi diversamente.
Maurizio le tese la mano, quella
avanzò lentamente fra i ciottoli e gliela strinse un attimo, velocemente,
facendo vagare lo sguardo altrove oltre l’orizzonte pur di non affrontare
quello sfacciatamente indagatore di Maurizio.
No, non mi sono sbagliato.
Delia intanto gli passò una mano
attorno ai fianchi e gli sorrise come fosse la prima volta che lo vedeva,
lasciandogli addosso l’impronta del proprio corpo affascinante in un gesto che
voleva essere quello di una gatta che marca il territorio.
Ha fiutato il mio interesse forse
crede che lei mi piaccia comincio a credere che tutta questa storia della sopravvivenza
ci abbia resi un po’ più animali di prima, un po’ più istintuali e meno
razionali se può essere possibile essere meno razionali di quanto non si sia
già stati.
-
Lei è la mia amica di cui ti parlavo l’altro
giorno; ha studiato storia dell’arte e adesso è in cerca di un lavoro. Pensi
che al Ministero potresti trovare qualcosa per lei? - spiegò Delia.
Atena abbassò lo sguardo e sospirò
piano, visibilmente a disagio.
Questa è un’idea di Delia tu non
volevi, vero? Preferiresti continuare a fare la consulente per quel paio di
musei che sono nati qui e là e che stanno ancora in piedi in questa zona,
continuare a racimolare qualche supplenza in giro per la circoscrizione sud
intera, piuttosto che chiedere una raccomandazione.
-
In realtà volevo solo sapere se il Ministero
stesse avviando qualche selezione, - si affrettò a dire lei stringendosi nelle
spalle.
-
Beh, conosco qualcuno al dipartimento Cultura,
potrei fare qualche domanda… - abbozzò Maurizio.
-
Oh, avanti! So che con tutta la gente che
conosci puoi trovarle un lavoro come si deve, - cinguettò Delia accarezzandogli
il viso con due dita.
-
Non c’è bisogno che ti disturbi fino a tanto, te
l’ho detto, - insistette Atena con la voce attraversata da un fastidio che
nascondeva una vaga rabbia repressa per quell’atteggiamento di Delia che la
stava mettendo in difficoltà.
Onesta. Moriresti, per onestà e in
questo mondo di onestà si muore, mia cara.
-
Insomma, mi sembra di capire che un lavoro quasi
tu non lo voglia, - la provocò lui con un mezzo sorriso di sfida.
-
Non è questo, - si lamentò lei in difficoltà, -
è che…
-
Atena è un tipo timido, - sembrò volerla scusare
Delia, prima di sollevarsi sulle punta a lasciare un bacio veloce sulle labbra
di Maurizio. – Che ne dite di riparlarne davanti ad una tazza di caffè?
-
Ottima
idea, - colse al volo Maurizio. Atena strinse le labbra e annuì poco convinta.
CONCLUSIONE 2
-
Adesso
devo andare, magari la prossima volta, - mormorò Maurizio lanciando un’occhiata
distratta all’orologio.
Visto l'atteggiamento di Maurizio, credo si più adatta la seconda conclusione.
RispondiEliminaOh oh,e questo falso nome?Questo scenario è molto affascinante e intrigante,e la descrizione iniziale del cielo è a dir poco poetica,con quel finale " fino a incupirsi in un blu messaggero di notte" che è un piacere per gli occhi e la mente.Mi sarebbe piaciuta molto una conclusione alla "Nel frattempo vado ad impiccarmi-disse Delia" :P ,ma in mancanza di questo scelgo...il NON incontro!Conclusione 2.Voglio farmi del male e rimandare.
RispondiEliminaSono TROPPO curiosa..vada per la prima conclusione.
RispondiEliminaI I
I
conclusione 2
RispondiEliminaPenso che Maurizio non voglia passare troppo tempo con Delia e onestamente lo capisco :) rimandiamo alla prossima volta!
RispondiEliminac'é un momento giusto per tutto..conclusione 2 :)
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